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Dal mondo della ricerca sull’osteosarcoma un importante studio sulla resistenza delle cellule tumorali

Misurare gli effetti dei farmaci sulle cellule tumorali

La resistenza dell’osteosarcoma all’azione chemioterapica

I bioingegneri della Rice University di Houston, attraverso questa pubblicazione scientifica, hanno dimostrano che le cellule immunitarie influiscono, nell’osteosarcoma, sulla resistenza ai farmaci. Essi sono partiti dalla constatazione che le cellule tumorali non mostrano la loro vera identità maligna quando sono poste in coltura, in una capsula di Petri ad esempio, in quanto isolate dalle altre cellule del tessuto d’origine. Per scoprire come si comportano realmente, i ricercatori hanno sviluppato quindi un modello tridimensionale di osteosarcoma (tecnicamente chiamato scaffold / armatura) formato da cellule ossee accanto a cellule immunitarie, appartenenti precisamente alla sottopopolazione linfocitaria dei macrofagi, poste entrambe all’interno di una struttura progettata per imitare quella naturale delle trabecole ossee. Usando questo modello avveniristico, il bioingegnere Antonios Mikos ha scoperto che la risposta immunitaria dei macrofagi, presenti nell’osso, può purtroppo rendere le cellule tumorali, in modo naturale, più resistenti alla chemioterapia.Un modello artificiale per riprodurre in modo fedele la situazione reale

Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Biomaterials, fa luce sul motivo per cui alcuni farmaci chemioterapici antitumorali, che sembrano essere buoni candidati nei sistemi in vitro di un laboratorio di ricerca, purtroppo non funzionano come previsto nei pazienti reali. I ricercatori sottolineano i punti deboli nella modellazione tumorale tradizionale in vitro e indicano la strada verso terapie antitumorali sempre più efficaci per eliminare le cellule tumorali maligne. “I modelli tumorali esistenti, utilizzati per testare le prestazioni dei farmaci, non imitano abbastanza compiutamente l’ambiente reale presente nel corpo umano“, ha detto Antonios Mikos. “Noi quindi stiamo cercando di creare un ambiente sperimentale che sia il più simile possibile a ciò che avviene realmente all’interno dell’organismo dei pazienti oncologici reali. Avere un ambiente di questo tipo ci consentirà di testare più farmaci in modo calibrato e quindi risolutivo in campo clinico“. Il gruppo di ricerca di Antonios Mikos aveva scoperto, in un lavoro precedente, come le cellule tumorali siano molto sensibili alle proprietà fisico-meccaniche del substrato su cui aderiscono e crescono. “In genere, le cellule dovrebbero crescere su una superficie piana, come ad esempio in una capsula di Petri costruita in plastica o in vetro”, ha aggiunto Letizia Chim, la quale ha recentemente vinto un dottorato di ricerca alla Rice University ed è stata l’autrice principale dello studio. “Se si utilizza infatti un microscopio per osservare le impalcature a forma di disco che abbiamo sviluppato, si può facilmente notare che esse sono costituite da fibre esattamente identiche a quelle che le cellule ossee riconoscerebbero nel tessuto naturale. Le cellule possono quindi percepire che questo substrato è tridimensionale invece che piatto, più vicino a quella che è effettivamente la struttura ossea presente in natura”.   

Gli scaffold: questi conosciuti 

Gli scaffold sono realizzati fondamentalmente con due materiali diversi: un polimero sintetico molto rigido mischiato con della gelatina. Modificando il rapporto percentuale tra queste due macromolecole biologiche, i ricercatori possono controllare la rigidità complessiva delle fibre ottenute. “Ciò che qui è nuovo e quindi molto importante  è che abbiamo raggiunto un livello elevato di complessità – le cellule immunitarie che fanno parte del microambiente tumorale osseo – e abbiamo esaminato come la combinazione della reattività meccanica del substrato e la presenza di altre cellule influiscano sullo sviluppo proliferativo e sul comportamento biochimico del tumore stesso“, ha affermato il bioingegnere Antonios Mikos. “In un tumore, non hai solo le cellule tumorali, hai anche altre cellule che inviano segnali i quali possono influenzare il modo in cui le cellule neoplastiche risponderanno al trattamento”, ha aggiunto la dottoressa Chim.

L’infiammazione come chiave di lettura della trasformazione neoplastica 

I ricercatori americani hanno scoperto che l’aumento dell’infiammazione causata dai macrofagi riduceva l’efficacia della doxorubucina, uno degli agenti chemioterapici più usati per trattare l’osteosarcoma, la forma più comune di cancro alle ossa. “Eravamo interessati ai macrofagi associati al tumore perché possono costituire fino al 50%, in massa,del tumore stesso “, ha detto Chim. “A volte i tumori sono stati descritti come ferite che non guariscono mai, e ciò è in parte dovuto ai macrofagi che inviano falsi segnali di guarigione delle lesioni tumorali anche se poi, in realtà, essi stessi permettono la proliferazione incontrollata delle stesse cellule tumorali, quindi “confondendo” le altre cellule immunitarie presenti nel microambiente circostante. Nel tessuto normale ciò funziona esattamente producendo l’avvio della guarigione e il ristabilirsi dello stato di benessere, ma nel caso del tumore la situazione viene ribaltata a tutto e unico vantaggio della massa maligna proliferante”.

Possibili soluzioni terapeutiche personalizzate

I modelli preclinici che mimano i tumori in modo molto accurato, possono anche aiutare i ricercatori a identificare quali terapie siano le più efficaci in un dato contesto biologico. “Questo studio sarà molto utile per progettare terapie che colpiscano non solo le cellule tumorali ma anche le cellule immunitarie macrofagiche, o che inducano le cellule immunitarie a cambiare essenzialmente la loro funzione”, ha detto il bioingegnere Antonios Mikos. “Uno dei principali obiettivi della nostra ricerca è sviluppare sistemi e piattaforme di test personalizzati in cui le caratteristiche del tumore del paziente vengano utilizzate per trovare un modello terapeutico che funzioni meglio per lui stesso“, ha affermato la dottoressa Chim. “Direi che questa è la visione della medicina personalizzata del futuro: poter rispondere alla domanda, ci sono particolari trattamenti mirati che funzionano bene per questo paziente? “L’osteosarcoma è una malattia rara che spesso viene trascurata. È anche una patologia molto complessa che si manifesta in modo diverso in ogni singolo paziente. Questo è un altro motivo per cui alla fine sarebbe fantastico se potessimo sviluppare un approccio medico personalizzato per il trattamento di questa patologia dello scheletro”. “Il microambiente tumorale gioca chiaramente un ruolo importante nel modo in cui si svolgono la progressione della malattia e il trattamento”, ha affermato Mikos.

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Ecco perché ci sforziamo di sviluppare un livello ottimale di complessità che fornisca a noi ricercatori il quadro più ampio possibile di ciò che accade realmente all’interno di un organismo vivente. La strada è tracciata in modo chiaro e netto, ora serve un ulteriore step costituito da massicce ricerche che mirino a rieducare finemente la cellula tumorale e farla tornare al suo fenotipo originario perfettamente sano”.

 

Fonti:

Tumor-associated macrophages induce inflammation and drug resistance in a mechanically tunable engineered model of osteosarcoma – PubMed (nih.gov) 

 

 

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