Un team italiano ha appositamente progettato e generato degli zebrafish, per comprendere la funzione di diversi anti-infiammatori steroidei sono in grado di aumentare in modo significativo l’attività della via di segnale di risposta all’ipossia, specialmente a livello epatico, anche nell’uomo.
Quest’ultima scoperta, pubblicata su PNAS, è un’ulteriore prova di come lo zebrafish, all’apparenza un pesce qualunque, è l’animale più utilizzato come “cavia” nei laboratori di tutto il mondo. Le sue caratteristiche, quali l’alta compatibilità genetica con l’uomo, la facilità di allevamento, la produzione di uova trasparenti facilmente osservabili al microscopio e gli embrioni che si sviluppano in sole 48 ore, gli hanno permesso di essere la cavia più utilizzata dal mondo scientifico.
L’importanza dello zebrafish
Già nel 1988 alcuni ricercatori italiani, lavorando con lo zebrafish, fecero un’osservazione molto interessante che ha aperto nuovi orizzonti alla ricerca: se si innestano cellule tumorali in un embrione di zebrafish, costituito prevalentemente da cellule staminali, queste vengono o riprogrammate in cellule sane o indotte al suicidio.
Per approfondire leggi il position paper: “Trattamenti integrativi in oncologia – i fattori di differenziazione cellulare come integrazione della chemioterapia”, in cui un importante comitato scientifico ha valutato e confermato l’importanza di questo filone di studio che potrebbe dare luogo ad una efficace sinergia terapeutica.
Lo studio a sostegno: come reagisce l’organismo in caso di mancanza di ossigeno?
La concentrazione di ossigeno è importante in molti tumori: una bassa concentrazione di esso (ipossia) aumenta infatti la propensione alla metastasi, cellule maligne che si staccano dal tumore originario e si diffondono per generare nuovi tumori.
L’ossigeno è dunque un elemento fondamentale per la sopravvivenza e per questo si sono evoluti dei meccanismi fisiologici capaci di percepire e rispondere ai cambiamenti della tensione di ossigeno. Nelle cellule, il sensore dell’ossigeno è un fattore di trascrizione chiamato HIF (Hypoxia Inducible Factor), in grado di riprogrammare il metabolismo in risposta alla diminuzione della disponibilità di ossigeno nell’ambiente intracellulare. Fino ad ora tutti gli sforzi per trovare degli attivatori di HIF in vitro hanno permesso di individuare solo un piccolissimo numero di molecole la cui efficacia è ancora dibattuta e il cui uso è limitato all’ambito della ricerca.
La scoperta
Il team coordinato da Andrea Vettori e Francesco Argenton, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, ha dunque progettato e generato gli zebrafish che risultano essere uno strumento ideale per analizzare e studiare in vivo le attività del fattore HIF, ed effettuare screening di specifiche vie metaboliche. Utilizzando questo nuovo approccio in-vivo, il team di ricercatori di Padova, in collaborazione con il prof. Van Eeden dell’Università di Sheffield (UK) e la Prof.ssa Jane McKeating del Target Discovery Institute di Oxford (UK), ha analizzato l’effetto di circa 2000 farmaci già presenti nel repertorio farmaceutico su larve di zebrafish ingegnerizzate.
Le considerazioni
“Grazie a queste analisi e a un approccio multidisciplinare – spiega il prof. Francesco Argenton – abbiamo scoperto che diversi anti-infiammatori steroidei (come ad esempio il dexametasone, il prednisolone e il betametasone) sono in grado di aumentare in modo significativo l’attività della via di segnale di risposta all’ipossia, specialmente a livello epatico, anche nell’uomo. Questa scoperta rende quindi evidente che la via di segnale di difesa dall’ipossia non è attivata solo da basse concentrazioni di ossigeno ma anche da altri «mediatori», tra i quali i glucocorticoidi sembrano essere i più importanti”.
Nel futuro
Argenton aggiunge: “Considerando il coinvolgimento cruciale della mancanza di ossigeno in molti processi patologici, tra cui l’ischemia, l’ictus, le lesioni del midollo spinale, l’anemia cronica, la capacità di attivare la via di risposta all’ipossia con farmaci già disponibili potrebbe essere in un prossimo futuro di grande aiuto nel trattamento di una varietà di condizioni patologiche molto diffuse nella popolazione umana”.
Fonti:
Andrea Vettori A. et all., Glucocorticoids promote Von Hippel Lindau (pVHL) degradation and Hif-1α stabilization PNAS, 2017.