Un nuovo studio dell’Irving Medical Center e dell’ Herbert Irving Comprehensive Cancer Center suggerisce che limitare la disponibilità di cisteina possa rallentare la crescita del tumore al pancreas.
Il ruolo chiave della cisteina
La maggior parte dei tumori del pancreas accelera la produzione di ossidanti che possono uccidere molte cellule sane. I tumori prosperano in queste “condizioni tossiche” importando grandi quantità di cisteina, un aminoacido non essenziale, nelle loro cellule.
Poiché i tumori del pancreas sembrano dipendere dalla cisteina per la loro sopravvivenza, i ricercatori hanno ipotizzato che avrebbero potuto rallentare la crescita del tumore prendendo di mira selettivamente questo aminoacido.
Quando il gene che controlla l’importazione della cisteina è stato eliminato nei topi con carcinoma pancreatico, molto simile a quello umano, i tumori hanno smesso di crescere e il tempo di sopravvivenza medio è raddoppiato.
La speranza in un farmaco sperimentale
I ricercatori hanno ottenuto risultati simili quando i topi sono stati trattati con un farmaco, attualmente in fase di sviluppo da parte dei ricercatori dell’Università del Texas, per il trattamento della cistinuria, una rara malattia genetica in cui alti livelli di cisteina si concentrano nelle urine, causando calcoli renali e del tratto urinario.
Dati Cancro al Pancreas
Il tumore del pancreas attualmente è la quarta causa di morte da cancro mentre si prevede che nel 2020 diventerà la seconda dopo il tumore dei polmoni. Gli ultimi dati riportano il più basso tasso di sopravvivenza a cinque anni, l’8% e questo è dovuto soprattutto ad una diagnosi tardiva. Essendo spesso asintomatico lo si scopre molto tardi per cui è difficile intervenire chirurgicamente. La sua particolare e complessa biologia lo rende anche particolarmente resistente alle cure chemioterapiche.
“Siamo molto incoraggiati da questi risultati. Il cancro del pancreas è una malattia spesso letale, con un tasso di sopravvivenza medio di soli sei mesi dopo la diagnosi. Abbiamo un disperato bisogno di nuovi trattamenti” afferma Kenneth P. Olive, autore senior dello studio.
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