Oggi vorrei raccontarvi la storia di una donna che ha trasformato l’esperienza della sua malattia in un’occasione di crescita.
Una donna che non si arrende mai.
Come inizia la sua storia?
Tutto è cominciato a febbraio del 2016 con una trombovenosi superficiale al seno sinistro che mi causava dolore. Poiché sono affetta dalla sindrome dello stretto toracico, pensavo fosse quella la causa della trombosi, ma il neurochirurgo che mi segue da anni mi disse che non c’entrava nulla.
Lo specialista mi diagnosticò la sindrome di Mondor, anche se ammise che nel seno era la prima volta che gli capitava. Mi prescrisse 40 iniezioni di eparina per sciogliere il trombo che invece non scomparve. Un secondo specialista confermò la sindrome di Mondor e decise di intervenire chirurgicamente.
Il 10 giugno mi chiamò il medico per darmi il risultato dell’esame istologico, che in questi casi si esegue di prassi, e mi disse che si trattava di un tumore al seno. Pensavo avessero sbagliato cartella perché la diagnosi fatta precedentemente non era quella, ma il dottore insistette che non c’era nessun errore e in quel momento iniziò il mio calvario.
Uscii dall’ospedale sconvolta, pioveva fuori e dentro di me. A 42 anni sai cos’è la malattia, sai che esiste, ma non pensi possa capitare a te.
Come ha affrontato la malattia?
Per mesi sono stata sballottata fra prognosi favorevoli per alcuni e nefaste per altri, mi davano diagnosi diverse, finché il chirurgo mi presentò 2 alternative: o operiamo su un solo quadrante, col rischio di dover fare successivamente una mastectomia, nel caso i margini siano compromessi, o facciamo subito la mastectomia. Lui propendeva per la seconda ipotesi.
Per me fu un colpo durissimo, e nessuno mi spiegò a cosa sarei andata incontro, non mi affiancarono alcun supporto psicologico. Io ero sola e stavo scalando l’Everest.
Ha chiesto un supporto psicologico?
Decisi autonomamente di rivolgermi ad uno psicologo per capire come affrontare questa prova, dalla prima seduta emerse che avevo qualcosa di irrisolto nel mio passato e se lo avessi affrontato, sarei andata incontro all’intervento con maggiore forza e consapevolezza. Così cominciai a pensare alla mia vita e a farmi un esame di coscienza e il 5 settembre 2016 mi si accese una lampadina e mi tornò in mente Luigi, il mio primo amore, che ho abbandonato senza una spiegazione e pensai che forse avrei dovuto parlargli. Non sapevo nulla di lui, ma lo chiamai e ci vedemmo la sera stessa. Gli raccontai quello che stavo vivendo e gli chiesi perdono per il dolore che gli avevo causato tanti anni prima. Da quella sera non ci siamo più lasciati. Sono arrivata al momento dell’intervento con una persona al mio fianco.
Ho un ricordo molto positivo dell’intervento nonostante la menomazione che ho subito.
Qual è stata la sua diagnosi definitiva?
L’esame istologico sentenziò che si trattava di un tumore in situ. Il medico mi disse che con la mastectomia mi avevano salvato la vita e non sarebbero state necessarie né la chemioterapia, né la radioterapia, né una terapia ormonale, dovevo solo affrontare la ricostruzione del seno che sarebbe avvenuta a breve.
Dopo qualche mese però ebbi un calo di 5 kg di peso e le protesi iniziarono a darmi fastidio. In seguito ad un altro intervento per risolvere questo problema, era settembre del 2018, percepii delle masse nel seno operato, feci subito un’ecografia dalla quale emerse la necessità di una biopsia e crollai di nuovo.
Dopo tutto quello che avevo passato, dovevo ricominciare daccapo?
Il referto però era dubbio, così si rese necessaria una Risonanza Magnetica con contrasto (RMN), il cui esito comunicò che erano tutte masse benigne, il medico mi tranquillizzò dicendomi che erano siliconomi.
Il 4 febbraio 2019 mi trovavo in ufficio, il mio capo mi abbracciò per congratularsi con me per un lavoro ben svolto e mi incrinò una costola. Il medico di base mi consigliò di eseguire una radiografia dalla quale però non emerse nulla, allora mi prescrisse una TAC, e mi chiese di ritirarla nel suo ambulatorio.
L’esito fu terribile, avevo metastasi ovunque, nei polmoni e nelle ossa.
Pensavo di vivere in un film horror e non mi capacitavo di come avessero potuto sbagliare tutto dall’inizio della malattia fino a quel giorno.
Chiamai mia sorella e insieme andammo a parlare con uno specialista, che mi diede una prognosi infausta di due mesi di vita.
Ci abbracciammo e piangemmo insieme ripetendo a noi stesse che avremmo superato anche questa.
Poi le cose cambiarono?
Sì, il giorno dopo, mi trovavo già al Sant’Orsola di Bologna. Il dottor Zanotti mi spiegò che serviva un altro intervento e occorreva un nuovo istologico, che eseguirono l’8 marzo 2019. Non fu un periodo facile. Ci siamo dovuti trasferire a Bologna con l’onere economico che ciò comportava, aspetto che non viene mai considerato in situazioni come queste.
Mi tolsero 19 linfonodi di cui 13 erano positivi e dovetti aspettare 32 giorni per avere l’esito dell’esame istologico.
Prima della consegna del referto il chirurgo mi disse che aveva due notizie da darmi, una bella e una brutta, decisi di sentire prima quella brutta.
Avevo un tumore metastatico dal quale non guarirò mai e col quale dovrò convivere per tutta la vita, perchè ancora non esiste una cura.
La bella notizia era che si trattava di un tumore ormonale, subdolo ma lento, per cui l’aspettativa di vita sarebbe stata più lunga dei due mesi che mi aveva pronosticato inizialmente.
Come si è sentita dopo questa notizia?
Speranzosa! Chiesi se fossi riuscita a vedere la laurea dei miei figli e mi risposero che sarei riuscita a conoscere anche i miei nipoti.
Io ci voglio credere perché la mente ha un grande potere e l‘atteggiamento con cui si affronta la malattia è buona parte della cura, questo non significa che io non crolli mai, perché sono un essere umano con una malattia grave e tante emozioni diverse.
All’inizio ero arrabbiata con un sacco di persone, soprattutto con i medici che hanno sbagliato il primo istologico.
Mi sono chiesta molte volte perchè proprio io? Poi con l’aiuto del mio compagno sono riuscita a trasformare e sciogliere quella rabbia. Non ho più quei sentimenti negativi che logorano. Tutti i giorni mi sveglio felice e gioisco delle piccole cose del quotidiano.
Quali terapie le hanno consigliato?
Mi hanno sottoposto a radioterapia nei vari siti in cui hanno evidenziato le metastasi e purtroppo ho avuto diversi effetti collaterali fra i quali vomito e la sensazione di bolo in gola.
Il dottor Zamagni del Sant’Orsola mi illustrò l’iter terapeutico che avrei dovuto intraprendere. Consisteva in:
- Zometa, un farmaco che serve per addensare le ossa colpite da metastasi.
- Palbociclib, per ridurre le metastasi.
- Letrozolo e Enantone per indurre la menopausa farmacologica, poiché si tratta di un tumore ormonale.
Assumo anche Calcio e vitamina D3 perchè lo Zometa richiede buoni valori di calcio, in quanto provoca osteonecrosi.
La terapia di Palbociclib va effettuata 21 giorni e a seguire 7 giorni di pausa, ma ad un certo punto ha iniziato a intossicarmi, così inizialmente mi fu aumentato il periodo di pausa a 21 giorni poi fu sostituito con Abeciclid, meno tossico ma efficace. Poichè da epatotossicità si può somministrare solo nel caso in cui il Palbociclib abbia dato regressione come nel mio caso, altrimenti non è utilizzabile, il rischio supera il beneficio.
Si tratta di un farmaco sperimentale e lo sto testando io, la mia patologia procede di pari passo con la ricerca, è un cammino condiviso, il problema è che i fondi per la ricerca vengono impiegati per i tumori aggressivi non per quelli metastatici, nonostante attualmente in italia vivano circa 37000 donne con tale patologia.
La terapia ormonale mi ha causato la formazione di cisti benigne che potevano evolvere in maligne, questo rese necessario una salpingectomia (asportazione di entrambe le tube) e isterectomia (asportazione dell’utero) eseguite il 16 luglio 2021, di conseguenza eliminai l’Enantone, poiché da quel momento ero in menopausa chirurgica.
Sappiamo che l’alimentazione è importante. Le hanno consigliato una dieta particolare?
Ci sono alimenti per me vietati perché annullano l’effetto terapeutico dei farmaci:
- pompelmo
- melograno
- preferibilmente devo evitare arance, mandarini, melanzane e pomodoro crudo
Non mi hanno dato una dieta particolare e sono vegetariana da 8 anni, da prima della malattia, per cui il mio regime alimentare è già privo di carne.
Cosa le ha tolto e cosa le ha dato la malattia?
Se la si guarda dall’esterno mi ha tolto il lavoro, una parte del mio corpo, la persona che ero prima, perché le cure devastano, le amicizie, perché non tutti sono in grado di vivere accanto ad una persona malata. Ma dal mio punto di vista, non mi ha tolto niente, perchè il lavoro mi rendeva una persona peggiore di quella che sono e mi sentivo sfruttata, non mi sentivo una brava mamma perchè lavoravo sempre, ora invece mi prendo cura dei miei figli, per loro ci sono.
La malattia mi ha ridato una vita perché mi ha ridato i miei figli, mi ha fatto tornare ad essere una mamma.
Penso che la mia missione sia quella di aiutare le altre donne che non riescono ad accettare la malattia, quando dico che la ringrazio perché mi ha reso una mamma migliore mi deridono, non capiscono come io possa ringraziare questo mostro che forse mi porterà via.
Ricordo perfettamente tutte quelle date, nonostante io abbia poca memoria, perché ognuna di esse è come una morte e una rinascita.
Quale messaggio vuole lasciare a chi leggerà la sua storia?
E’ come se mi fossi spogliata di un bellissimo vestito che però era solo apparenza, ora sono sempre in tuta ma sono io.
All’inizio ho pianto, mi sono arrabbiata, ma poi mi sono spogliata di questa zavorra e anche se ora sono nuda, sono felice. Rispetto di più me stessa e il mio corpo, i miei tempi, le mie esigenze, mi ascolto.
È vero che molte volte devo fermarmi e stare a letto, ma non lo vivo in modo negativo, lo vivo pensando che oggi è così, aspetto che mi passi, mi rigenero e domani è un nuovo giorno e riparto.
Quindi il messaggio che vorrei lasciare è che niente succede per caso, una cosa che all’inizio sembra negativa, se la si guarda nel profondo ha sempre qualcosa da insegnare.