Nutrizione ed integrazione

Pazienti oncologici, un aiuto importante arriva da una nutrizione personalizzata

La malnutrizione è una caratteristica comune nei pazienti oncologici e ha un impatto negativo su qualità della vita e tossicità del trattamento. E’ stato stimato che fino al 10-20% dei malati di cancro deceda a causa delle conseguenze della malnutrizione piuttosto che del tumore stesso. Pertanto, la nutrizione riveste un ruolo cruciale nella cura multimodale del cancro. 

Evidenze consolidate indicano come gli aspetti nutrizionali debbano essere considerati sin dalla diagnosi di cancro, nell’ambito di un percorso diagnostico e terapeutico, e proseguiti parallelamente ai trattamenti antineoplastici. Abbiamo intervistato su questa tematica così rilevante uno dei migliori esperti, il dottor Stefano Ciaurelli, biologo nutrizionista e ricercatore.

Dottor Ciaurelli, qual è il ruolo della nutrizione nel paziente oncologico?

Il ruolo della nutrizione in ambito oncologico si gioca su diversi piani: quello del supporto alle terapie farmacologiche, quello della gestione degli effetti collaterali (come neutropenia, vomito ecc) e quello della riduzione dei fenomeni proliferativi. La malnutrizione del paziente oncologico è anche legata alle terapie, che riducono la superficie di assorbimento dell’intestino creando una facilitazione di uno stato infiammatorio. Proprio per questo viene di solito sconsigliata la carne che è ricca di aminoacidi solforati la cui azione potenzia l’irritazione della mucosa intestinale indotta dai trattamenti antineoplastici.

Lei pensa che la nutrizione in oncologia sia un aspetto adeguatamente conosciuto?

Credo esista la necessità di una più ampia diffusione delle conoscenze in questo campo. Da ricercatore in biologia molecolare e biofisica, quello che noi definiamo per nutrizione in realtà è un concetto riduttivo rispetto alla nutrizione in senso olistico. Questo perché dovremmo ampliare il concetto di nutrizione ricordando che i raggi del sole permettono la sintesi della vitamina D, l’ossigeno che respiriamo a certe concentrazioni e volumi aumenta l’acetilcolina e quindi stimola la parasimpaticotonia e sistemi antinfiammatori. 

Abbiamo osservato che dopo pochi secondi da un attacco di stress si determina un’increzione di adrenalina la quale stimola la popolazione di Escherichia coli presente nell’intestino ad attivare un quorum sensing, cioè un meccanismo di comunicazione tra cellule batteriche dello stesso tipo che può aumentare la virulenza dei microrganismi. 

Si tratta di fenomeni poco conosciuti ma importanti. La nutrizione in senso olistico quindi è sicuramente sottovalutata. Il tempo è propizio per diffondere queste conoscenze. Al proposito usciremo a breve con un libro scritto insieme al professor Pier Mario Biava, che riassume i principali lavori scientifici condotti a livello mondiale nel campo della nutrigenomica secondo una chiave innovativa: osservare le malattie non più come un fenomeno casuale, ma come un fenomeno generato consequenzialmente rispetto all’infiammazione cronica di basso grado, verso cui la nutrizione può agire come disinnesco supportando i processi metabolici ed esaltando alcune attività protettive messe in atto dall’organismo. 

In quest’ottica, un’integrazione mirata con la nutraceutica permette, a monte, di riprogrammare e correggere gli errori cellulari, sia in chiave terapeutica associata sia preventiva e gestire, a valle, il disinnesco dei fenomeni infiammatori con il ripristino di un microbiota adeguato. È stato al riguardo osservato che ai fini di risposte ottimali a terapie biologiche o a chemioterapia un ruolo importante è ricoperto dalla presenza di uno specifico microbiota.

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La gestione del supporto nutrizionale in oncologia è soddisfacente a livello nazionale?

La gestione della nutrizione e dell’integrazione è condotta a livello ospedaliero in modo autonomo centro per centro. Alcuni centri hanno un buon expertise in questo settore, altri molto meno. L’équipeBiavaVita365 si propone di unire tutta la competenza scientifica a livello internazionale per tradurla in un approccio personalizzato al paziente attraverso un piano nutrizionale specifico, una specifica integrazione e riprogrammazione. A questo approccio possono poi essere unite terapie integrate utili come l’agopuntura o l’ipertermia che sostiene la proteina p53, cioè il “guardiano” dell’integrità del DNA contenuto nel genoma.      

Questo approccio personalizzato sulle caratteristiche del paziente risulta di grande beneficio. Ad esempio, nel carcinoma mammario sono stati condotti nel 2018 degli studi che hanno dimostrato come l’indolo-3-carbinolo del broccolo e l’epigallocatechina-3-gallato del tè verde favoriscano l’aspettativa di vita fino a 5 anni. Nel glioblastoma è particolarmente consigliata la Boswellia serrata, nel carcinoma prostatico è consigliata la zucca mentre sono sconsigliati i latticini; sappiamo poi che il trans-resveratrolo e la curcuma inibiscono la proliferazione. In questo concetto, se parliamo di nutraceutica in senso stretto noi andiamo a caratterizzare l’intervento in base alla diagnosi specifica.

Esistono limiti o controindicazioni a un’integrazione nutrizionale?

Il nostro compito come nutrizionisti è quello sia di consigliare ma anche di sconsigliare l’assunzione di alcune sostanze o alimenti in funzione del singolo paziente. Ad esempio, la carne rossa induce un aumento di IGF-1, un fattore di crescita coinvolto nel cancro del colon, della prostata, della mammella e dell’endometrio o i latticini e gli zuccheri che inducono stimoli anabolici notevoli. 

Altri alimenti hanno caratteristiche negative, come quelli ricchi di amine biogene quale la spermidina, da cui, attraverso alcuni passaggi biochimici, viene attivato Eukaryotic Initiation Factor-5 alfa (EIF-5a) che avvia la trascrizione dell’mRNA quindi favorendo la proliferazione. L’assunzione di alcuni alimenti tra cui l’arancia, il pompelmo o alcuni frutti di mare, deve quindi essere limitata se non evitata. 

La nutrizione, dunque, oltre a favorire processi rigenerativi e supportare le terapie farmacologiche e sostenere gli effetti collaterali, deve essere mirata anche a cercare di ridurre gli stimoli proliferativi

Lo stesso discorso vale per l’utilizzo di integratori. I dati della letteratura scientifica indicano in generale che, in corso di una chemioterapia con cui si voglia indurre un effetto citotossico e pro-ossidante, non dovrebbero essere assunti preparati antiossidanti e multivitaminici perché vanno a contrastare lo stress ossidativo indotto dai chemioterapici, rendendoli meno efficaci.

Tuttavia, esiste anche una mole di dati che dimostra come alcuni fitocomplessi specifici possano favorire risposte cliniche complessive del tutto diverse e favorevoli.

Alcuni studi sull’uso della papaya fermentata, potente antiossidante, hanno mostrato la riduzione dei processi metastatici. Studi in vivo su Synchro Levels, che è un brevetto di un fattore di riprogrammazione contenente tra i suoi componenti anche sostanze antiossidanti, non hanno mostrato effetti di contrasto all’azione della chemioterapia.

Parlando di antiossidanti bisogna però ricordare che le molecole dotate di queste proprietà devono superare tutta una serie di ostacoli (ambiente acido gastro-intestinale, assorbimento, passaggio nel sangue e superamento delle membrane lipofile) prima di arrivare in quantità molto limitate all’interno delle cellule. Il vero paradigma antiossidante è dunque quello di stimolare i fattori antiossidanti del DNA, il cosiddetto Nuclear Respiratory Factor 2 (NRF-2). 

Un messaggio conclusivo per le persone affette da neoplasie è quello di rivolgersi sempre agli specialisti in nutrizione prima di assumere integratori ed evitare il fai da te, che può risultare controproducente.

Giornalista professionista e medico, da oltre 30 anni impegnato nella divulgazione scientifica e nell'aggiornamento e formazione dei medici di medicina generale e specialisti

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