Nutrizione ed integrazione

Glioblastoma, nuove ricerche per la cura: affamare di grassi le cellule e stimolare la loro reversione

Glioblastoma: i ricercatori scoprono una nuova strategia di terapia combinata

I tumori al cervello sono per fortuna tumori rari negli adulti. Tuttavia, il tipo più comune di cancro al cervello, il glioblastoma, è incurabile e quasi sempre letale. A causa della mancanza di terapie efficaci, la sopravvivenza media di un paziente con glioblastoma è stimata intorno ai 15 mesi.

Trovare nuove e più efficaci terapie per il glioblastoma è molto difficile per molte ragioni. Le cellule di glioblastoma possono migrare lontano dal tumore principale verso le parti di cervello sano, rendendo così impossibile la completa rimozione chirurgica del tumore. Questi tumori sono in genere anche molto resistenti agli attuali farmaci e alla radioterapia. Di conseguenza, i glioblastomi di solito ricrescono dopo il trattamento e questi tumori “ricorrenti” tendono a resistere a tutti gli sforzi per curarli e alla fine causare la morte del paziente.

Perché molti farmaci non riescono ad arrivare dove c’è il tumore

La cosiddetta “barriera emato-encefalica” che ha una funzione protettiva per il cervello impedisce però anche a molti farmaci anticancro, che funzionano bene in altri organi, di entrare nel cervello. Questo limita fortemente il numero di farmaci che possono essere applicati. Inoltre i glioblastomi possono presentare numerose differenze tra paziente e paziente e non sono ancora noti specifici geni mutati su cui provare ad agire. Anche all’interno di un tumore in un singolo paziente, ci sono grandi differenze nelle cellule tumorali stesse. E’ proprio su queste differenze tra le cellule tumorali dello stesso paziente che i ricercatori sono impegnati nei loro studi.

 

Cellule a rapida moltiplicazione e cellule a lenta moltiplicazione

In un recente studio, sono state analizzate le diverse tipologie di cellule di glioblastoma presenti nello stesso paziente e si è visto che ciascuna si moltiplicava a velocità differente. Era quindi possibile classificarle in base alla rapidità di crescita.

Intuitivamente, ci si sarebbe aspettato che le cellule a divisione più veloce sarebbero state anche le più aggressive, ma sorprendentemente è stato osservato che le cellule di glioblastoma che si dividono più lentamente avevano maggiori probabilità di resistere alla chemioterapia ed erano quindi le più maligne.

Non solo, è anche emerso che le cellule a moltiplicazione più lenta hanno anche maggiori probabilità di allontanarsi dal tumore principale migrando in altre aree del cervello e rendendo così più complicato l’intero quadro clinico.

 

Cellule di glioblastoma affamate di grassi

Inoltre si è visto che le caratteristiche genetiche di queste cellule a lenta crescita coincidono con quelle delle recidive di glioblastoma. Si pensa quindi che possano essere loro le responsabili del ripresentarsi della malattia.  Non solo, queste cellule presentano una maggior dipendenza da grassi.

Già negli anni ’20 si è ipotizzato che i tumori si basino prevalentemente su un modo meno efficace, rispetto alle cellule normali, di usare zuccheri per il loro supporto energetico. Tutto questo è noto come effetto Warburg.

Queste nuove ricerche confermano che tutto questo è vero per le cellule che si dividono più velocemente, ma non per le cellule più lente, che usano invece principalmente i grassi come fonte di energia.

Nello studio, è stata anche identificata una certa proteina di trasporto per gli acidi grassi che è specifica per le cellule di glioblastoma a divisione lenta. Una questione importante che emerge da questo lavoro è quindi quella di capire se bloccando il trasporto di acidi grassi verso le cellule tumorali di glioblasoma si possa anche rallentare la crescita del tumore.  

 

Un trattamento già a disposizione: la riprogrammazione epigenetica delle cellule tumorali

Mentre questi studi vanno avanti, sperando di raggiungere presto la realizzazione di un farmaco, hanno già dimostrato efficacia in diversi casi i nuovi trattamenti integrativi che sfruttano dei principi epigenetici di riprogrammazione cellulare. Certamente si è ancora lontani dall’aver trovato la cura, tuttavia diversi gruppi di ricerca internazionali tra cui anche quello italiano coordinato dal prof. Mariano Bizzarri, direttore dell’SBGLab (www.sbglab.org) presso l’Università Sapienza di Roma, hanno dimostrato come specifici estratti peptidici, noti anche come peptidi di pesce, possano contribuire a riequilibrare il ciclo cellulare delle cellule tumorali e, o ritrasformarle in cellule sane, o indurre la morte delle stesse cellule tumorali. In ogni caso questi trattamenti rafforzano le difese immunitarie contribuendo a migliorare l’efficacia dei trattamenti tradizionali.

Sul sito www.oncovita.it sono raccolte le principali ricerche, sebbene gli studi siano ancora in atto, è comunque possibile informarsi per provare ad affiancare alle proprie cure anche con questi approcci integrativi.

Fonti:
http://emboj.embopress.org/content/early/2018/10/15/embj.201798772
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4783224/

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